I Cure dal vivo e Bob Marley al cinema

(pubblicato originariamente il 9/7/12)

Oggi zoppico un po’ perché mi sono infortunato al piede destro… giocando a pallavolo al concerto dei Cure. Cioè: sono arrivato e suonavano questi tizi che non erano nemmeno malaccio ma di cui non me ne fregava una sega. E allora mi son detto: devo fare qualcosa finché non salgono sul palco almeno i New Order. Che, se qualcuno m’avesse detto che nel 2012 i New Order avrebbero suonato davanti a più di ventimila persone e Terence Trent D’Arby sarebbe finito a fare serate in un bar di Bergamo… beh, gli avrei riso in faccia.

E invece la vita è piena di sorprese.

Ho scoperto solo oggi che i New Order nascono dalle ceneri dei Joy Division (ah! internet: quanto mi saresti stato utile trent’anni fa!!!): per me erano “solo” quelli che avevano girato “True Faith”, uno dei video musicali più belli ed epocali che mi sia mai capitato di vedere (caso strano: un altro di quei video è “Close to me” dei Cure, visti sullo stesso palco un’ora dopo).

E allora ho scoperto i campi di pallavolo e basket: siccome a pallacanestro qualche tiro lo faccio ancora, ogni tanto, ma a volley sono davvero anni che non ci gioco più (eppoi: il basket è uno sport prettamente maschile, ed io è un mesetto che son tornato single) la scelta è facile. Decisamente troppo facile, perché le parentesi non le uso mai per le frasi superflue… e c’era un gruppo di ragazze davvero troppo carine per considerare seriamente…………………… ma vaffanculo il basket, va!

C’è qualcosa di più stupido che giocare a pallavolo con gli stivali (“ma sono stivaletti estivi!” dice lei)? Beh: non togliersi il braccialetto è stupido ma non così tanto (ed io, ovviamente, me lo sono tolto solo dopo la prima mezz’ora). Giocare a piedi nudi sull’erba sintetica: quello sì! E infatti ho delle vesciche nuove e bellissime, oggi…

Buono il concerto dei New Order, bellissimo quello dei Cure, che si giocano “Lullaby” già come terza canzone, “Friday I’m in Love” nella prima metà del concerto, ma poi si tengono “Close to me”, “Why Can’t I be you?” e “Boys don’t cry” per un finale davvero da brividi.

Un Robert Smith invecchiato ma che non ha perso un grammo del carisma degli anni ’80 (anzi!), che dice di volersi limitare al “grazie” per non dire cazzate in italiano e suona per DUE ORE E QUARANTACINQUE MINUTI spiegando: “Godetevi questo concerto, perché potrebbe essere l’ultima volta. Io me lo sto godendo”.

Niente scenografie: solo tanto fumo e ottime luci (splendide, per esempio, in “Close to me”). A cosa servano le scenografie, quando sul palco c’è uno con la presenza scenica di Robert Smith, è effettivamente un mistero.

Capitolo 2:

“Marley” è il documentario su Bob Marley uscito qualche settimana fa al cinema in quella che doveva essere una sola serata. Peccato, perché ad avere saputo che poi sarebbe rimasto in programmazione così tanto sarei andato al concerto della Famiglia Rossi (ma vabbé: tanto rimedio stasera).

In una sola parola: noioso.

C’ero andato anche per “colpa” di “Living in the material world”, il favoloso documentario che Martin Scorsese ha dedicato a George Harrison… ecco: forse la pietra di paragone è troppo recente e troppo ben fatta, e il ricordo potrebbe ingigantire i difetti di “Marley” ma… per dirla tutta, penso proprio che non sia quello.

Il film è lento, spiega poco (ok, per i rastafari Gesù si è incarnato nuovamente nel Re d’Etiopia Haile Selassie I: sarebbe stato carino perdere quei sessanta secondi in più per spiegarci a cosa si deve questa credenza…), dà poco spazio alla musica privilegiando, tra l’altro, le canzoni meno conosciute e snobbando completamente o quasi le vere “hit” di Marley e non prende mai “ritmo”.

Certo, ci sono alcune facce che non possono che rimanere impresse (il primo cugino di Marley intervistato, nel paese dove è nato Bob, ha una gestualità e un modo di ridere semplicemente strepitosi), e non vengono taciuti i lati “scomodi” del cantante (le libertà che si è preso con le donne, giustificate come “ribellione contro le regole della società occidentale”, sembrano in realtà dovute alla necessità di svuotare i testicoli ogni tanto…). E le risatine che in platea accompagnano ogni accenno all’uso smodato di marijuana a me hanno dato fastidio: mi sembra sempre di trovarmi in presenza di quelli che “hey! noi sì che siamo anticonformisti”, e poi magari lavorano in banca e zitti e mosca (ma vabbé: questo è un problema mio).

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