DAVVERO: niente Lucca

Il numero 7 di DAVVERO non sarà disponibile alla prossima Lucca Comics: ci dispiace perché sarebbe stato bello presentarlo durante il più importante appuntamento fumettistico dell’anno, ma semplicemente, non ci siamo riusciti… l’episodio conclusivo della storia di Martina è semplicemente rimandato: vedremo se a dicembre oppure in occasione di una qualche fiera. Mi piacerebbe (e l’idea stuzzica anche Paola) rifare l’HAPPENING DEL FUMETTO a Bergamo e presentarlo lì, insieme alla grande maggioranza degli autori, ma per il momento è solo un’ipotesi.

DAVVERO n. 7, autori: Paola Barbato, Matteo Bussola, Marco Dominici, Elena Cesana, Roberta Ingranata, Andrea Meloni, Lola Airaghi, Alessandro Poli, Fabio Detullio, Walter Trono, Riccardo Nunziati, Antonio Lucchi, Arjuna Susini, Michela Da Sacco, Damjan Stanich, Gea Ferraris, Alberto Lingua, Emilio Pilliu, Giuseppe Candita, Jonathan Fara, Fabio Ramacci.

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p.s.: sono stato il primo a stupirsi, quando Paola mi ha chiamato per chiedermi se fossi interessato alla pubblicazione di questo albo… non ci speravo più. Ho subito detto di sì perché il fumetto mi ha dato tanto, e mi piace iniziare a restituire qualcosa: portare a termine una delle serie lasciate incompiute dalle (defunte? non proprio: ho qualche idea per la testa e chissà…) Edizioni Arcadia è il primo passo. Ed è bello tornare a lavorare con Paola, Matteo e tutto il loro staff.

p.p.s.: so che sembra la storia della volpe e l’uva ma io sono piuttosto sollevato, perché sto vivendo lontano dal mondo del fumetto e non avevo, personalmente, proprio voglia di andarci, a Lucca. Tu chiamala, se vuoi, apatia…

Come una porta sbattuta in faccia

(pubblicato originariamente il 16/7/12)

Oswaldo Bot. Peccato sia un falso… un po’ come può esserlo l’amore

Come quando è notte

e la stanchezza ti aleggia intorno come un avvoltoio:

la conosci a memoria, questa strada,

così bene che siete diventati amici,

che potresti farla ad occhi chiusi.

Già… potresti:

le palpebre calano

lentamente, poi decise

… ed è odore di benzina e asfalto,

sono lamiere contro il muro,

vetri sfondati con il cranio e sangue che cola sulla faccia.

Senza preavviso,

così è la vita… così è l’amore.

Che l’amore è come una porta

sbattuta in faccia quando non te l’aspetti,

pianifica l’agguato e colpisce

quando inizi a bearti della sua assenza,

a star bene nella tua solitudine.

Ti scopri patetico nella tua pretesa felicità

e sono secchiate in faccia e allora sì,

per fortuna,

ricominci a vivere.

Giacomo Balla – ritratto di Benedetta Marinetti. Ah! il futurismo…

Doppiaggio: una piaga davvero necessaria?

e la risposta, purtroppo, è sì.

perché alla fine noi italiani non ci abitueremo mai a guardare un film con i sottotitoli, com’è prassi in quasi tutto il mondo.

ora una serie di esempi a caso:

qualche anno fa ho acquistato in dvd la serie di Sandokan dall’Olanda ed ho sudato freddo, quando mi sono accorto che nella schermata iniziale c’erano solo due opzioni: sottotitoli sì, sottotitoli no.

niente scelta della lingua? perché io Sandokan me lo ricordo bene, ma non così tanto da volermelo sorbire in olandese (lingua che, trallaltro, come il 99% della popolazione mondiale, non mastico per nulla)… e invece, il telefilm era solo in italiano. L’hanno trasmesso così, nella terra dei tulipani e di Goldmember!

è un problema culturale, che supereremo solo quando sarà la maggior parte della gente (e non una percentuale di quelli tra i quindici e i trent’anni) a scaricare film e serie televisive da internet. Perché la televisione italiana, più vecchia di dieci anni rispetto alle televisioni degli altri paesi (che già sono vecchie loro) non muoverà un dito in questa direzione.

ora: io i dvd li guardo volentieri in inglese, con i sottotitoli in inglese (anche se ho dovuto rinunciare quando ho iniziato “E.R.”: le serie mediche sono davvero troppo difficili, da seguire in originale).

e non solo perché le voci italiane, di solito, non mi piacciono (provateci voi, a guardare “How I Met Your Mother” in inglese e poi sentire la voce italiana di Barney…), ma perché certi traduttori sembrano presi dritti da un corso rapido di apprendimento della lingua.

l’altra sera, chissà per quale motivo, m’è venuta la voglia di vedere come veniva tradotta una frase in italiano e mi sono cascati davvero gli zebedei per terra: Lily dice a Marshall che deve essere felice della sua vita perché ha sposato “a smokin’ hot chick“, che in italiano è diventato “una bella ragazza non fumatrice“.

giusto per chi non avesse alcuna familiarità con l’inglese: una bella ragazza è “hot”. “Smoking hot”, quindi, significa che una ragazza è tanto “calda” da fumare (non nel senso delle sigarette, cazzo!). Sono errori da prima elementare, che può fare solo qualcuno che magari ha anche studiato l’inglese, ma non ha nessuna familiarità con la lingua parlata (o che, quella sera, era davvero taaaanto stanco e aveva poca voglia d’impegnarsi).

no, ecco: prosit ai valenti traduttori italiani!

Il doppiaggio non solo disperde il talento degli attori (o qualcuno pensa che roba tipo “modulare la voce” sia un accessorio di poco conto della recitazione?), ma lo uniforma pure: pensate a quanti attori hanno la stessa voce italiana… il pur bravo Ferruccio Amendola “dava” la voce a Sylvester Stallone, Dustin Hoffman, Al Pacino e Robert De Niro: attori che non hanno davvero nulla in comune.

Tralasciando casi eclatanti ma comunque marginali (Sid Vicious con la voce del Ricky Cunningham di Happy Days -come lo si poteva prendere sul serio?!?-, un soldato americano in Giubbe Rosse di John Ford doppiato da Alberto Sordi -che ti viene da pensare: adesso inizia a minacciare i maccheroni, altro che gli indiani- una frase di Fabrizio Mazzotta in L’Attimo Fuggente…) non si può non dire che “Tutti Insieme Appassionatamente” è un film DEMOLITO da un pessimo doppiaggio. Andate a sentirvi la strepitosa “The Hills are Alive” di Julie Andrews e confrontatela con l’imbarazzante versione italiana “Il suono della musica” (che, tra l’altro, non ha permesso a molti di cogliere la citazione in “Moulin Rouge”: la canzone che Christian scrive per la compagnia di Henry de Tolouse-Lautrec, ambientata nella “esotica svizzera” è proprio “The Hills are Alive”). E gli esempi sono centinaia…

Come non citare poi “La Tata”, a cui gli spiritosi adattatori italiani hanno deciso di affibbiare natali frosinonesi (nonostante nel telefilm sia chiaro che la sua famiglia è di origini ebree), di trasformare i suoi genitori in zii e la nonna in una zia… trovandosi obbligati ad inventarsi cagate su cagate per coprire le cagate iniziali (no: non sono un grande fan di questo adattamento. Come avete fatto a capirlo?).

Restando alle sit-com: nella versione originale di FRIENDS non ci sono “risate registrate”… c’è davvero del pubblico in studio che applaude e ride: andatevi a guardare la scena in cui Chandler chiede a Monica (o era il contrario?) di sposarlo per rendervi conto della differenza di atmosfera:

La frase “i doppiatori italiani sono i più bravi al mondo” non vuol dire nulla. Primo perché mi ricorda quel tale che disse ad un mio amico musicista che, secondo lui, Edoardo Bennato era il miglior suonatore di armonica a bocca al mondo (al che il mio amico gli ha chiesto quanti altri ne conoscesse, e il tizio ha cambiato discorso…), eppoi perché non è che abbiano poi tutta questa concorrenza: nei paesi di lingua anglosassone -ma non solo- il doppiaggio praticamente non esiste.

Chiaro che dover leggere i sottotitoli rende più complicato (e meno avvincente) seguire quel che accade sullo schermo… e si arriva ad uno dei principali problemi dell’Italia d’oggi: l’assoluta inadeguatezza del nostro attuale sistema scolastico. Perché la maggior parte dei film e telefilm che acquistiamo dall’estero sono in inglese e, visto che oramai l’insegnamento dell’inglese nelle scuole è la regola da una ventina d’anni, i gggiovani dovrebbero tranquillamente essere in grado di capire i dialoghi senza dover leggere i sottotitoli.

Figuriamoci: viviamo in un paese nel quale si può prendere la laurea senza aver capito quando si deve usare l’acca con A e O… Mi ritengo una persona con una discreta conoscenza dell’inglese, nulla di più: eppure, qualche anno fa, ho conosciuto una ragazza ad un corso d’inglese che lo parlava meno bene di me. Mi sono davvero demoralizzato, quando a fine lezione ho scoperto che si era appena laureata in lingue e avrebbe iniziato a insegnare inglese dall’anno successivo. E’ assurdo pensare che una persona meno brava di me (in un qualunque campo dello scibile umano) possa insegnare qualcosa a qualcuno ed essere pagata per farlo.

Se questi sono gli insegnanti, come potranno imparare gli allievi?

Purtroppo è un circolo vizioso che potremo invertire solo in tempi molto lunghi: gli alunni impreparati di oggi insegneranno domani… quindi, nella migliore delle ipotesi: dopodomani.

(pubblicato originariamente il 15/7/12)

Una voce non basta

(pubblicato originariamente il 12/07/12)

poi uno può anche liquidare Pacifico come “quello che scrive le canzoni per Gianna Nannini” e io potrei anche dirgli che sì, è vero… ma si deve pure campare, in qualche modo.

questo per dire che il suo nuovo album è un po’ come quelli precedenti: bellissimo, tendente al capolavoro.

l’idea di base è quella di una serie di duetti e, nonostante Pacifico sia tutto tranne che un cantante da alta classifica, ha deciso di non chiamare i “soliti noti”, quelli che non negano una canzone in coppia a nessuno e che vendono comunque un fracco di dischi, ma tutta una serie di artisti emergenti o, comunque, poco conosciuti.

tutta gente molto, molto interessante.

strana la vita: ho conosciuto Pacifico ad un concerto di Carlo Fava (che, oltre a Colorado Café, ha fatto anche un paio di dischi davvero interessevoli. Ne parlerò, prima o poi) alla Salumeria della Musica. Fava portava sul palco ogni sera un ospite diverso (ci sono andato due volte: la seconda c’era Davide Van de Sfroos) con il quale duettava… in pratica, qualcosa di non troppo diverso dal concetto-base di questo disco.

il mio piccolo dramma, alla notizia dell’uscita del disco, è stato lo scoprire che Pacifico aveva riunito nella stessa canzone Frankie Hi-Nrg e i Bud Spencer Blues Explosion… ero indeciso tra l’attizzo per quello che ne sarebbe potuto uscire e lo spreco di vedere “bruciati” in quattro minuti i nomi che più mi interessavano dell’album. Il risultato è esaltante: forse la parte rap è un atto d’accusa fin troppo facile e qualunquista, ma cantata da Frankie è comunque esageratamente figa, e i BSBE si dimostrano artisti dalle enormi prospettive (il 20 luglio suonano dalle parti di Bergamo… se qualcuno ci capita ci si vede lì, che io non me lo faccio mancare, il loro concerto).

La prima canzone è A NESSUNO, che nel testo mi ricorda L’UOMO A META’ di Jannacci (e l’essere accostati a Jannacci è sempre un motivo d’orgoglio, no?): la storia di un uomo che “una sera si è perduto, ha chiuso e si è trovato solo. Senza luce e appoggio, tutto intorno solo vuoto, un vuoto che si è preso tutto: i sogni, i sentimenti i giorni interi e gli ha lasciato in mano solo quel cartello: tu non sei nessuno, se nessuno ti ama“. Segue una canzone d’ammore, L’ORA MISTERIOSA, in coppia con Cristina Marocco che… beh, è anche sua moglie nella vita reale: “e non c’è fatica e non c’è distanza, non ha senso né ragione questa vita senza il tuo respiro“. A vedere le foto su internet, c’è da invidiarlo.

OGNI GIORNO vede la partecipazione di Alioscia e Patrick dei Casino Royale -un altro di quei gruppi che le radio non passano mai chissà per quale motivo- e parla della difficoltà di vivere.

L’UNICA COSA CHE RESTA è il primo singolo, un po’ perché cantato con Malika Ayane, un po’ perché è una canzone davvero orecchiabile, in effetti la più commerciale del disco.

In INFINITA E’ LA NOTTE, cantata e scritta con Francesco Bianconi, la cosa che più colpisce è, soprattutto nelle prime strofe, l’incredibile somiglianza della voce del frontman dei Baustelle con quella di Fabrizio De André: “infinita è la notte sugli occhi chiusi, stanchi, sul mare aperto, sul tuo respiro. E fra il parto e la mortalità, fra la colpa e la divinità, c’è quest’algebra folle che senso non ha. Ma ci spinge a guardare, a guardare aldilà, a comprendere l’uomo, ad averne pietà“. Già, anche il concetto base della canzone sembra preso da Faber…

SECOND MOON è il secondo brano “debole” (per modo di dire, che ci sono cantanti che per avere brani “deboli” così nei loro album ucciderebbero), dopo PARLAMI RADIO, e parla della notte in cui l’uomo atterrò sulla luna come dell’ultima notte in cui l’umanità è riuscita a sognare: poi non c’è più stato l’ignoto: “ma se ci fosse una seconda luna si potrebbe ricominciare da lì“..

Il secondo brano “estivo” -subito dopo DOLCE SIA L’ESTATE(L’ESTATE DI CHI SA), con Raiz degli Almamegretta- SOLO SE CI CREDI (L’ESTATE DI CHI ASPETTA), cantato in coppia con Manupuma and The Maestro, che non so chi siano (almeno non lo sapevo finché non ho chiesto, proprio in questo momento, aiuto al mio amico Google…), è più interessante del primo, comunque notevole. Il concetto è il solito della primavera che arriva solo dopo che hai accettato l’inverno, ma la musica e le voci sono davvero godibili: “dici che cadremo sempre in piedi, ma l’estate arriva solo se ci credi“.

STRANO CHE NON CI SEI è dedicata alla memoria del padre e vede la partecipazione di Samuele Bersani, il primo cantante ad incidere un brano scritto da Pacifico: “e scrivo ancora solo per parlarti (…) e chiudo gli occhi e puoi toccarmi, è strano che non ci sei, strano che non ci sei (…) di quante cose eri parte e centro, e penso che non ci sei, se penso che non ci sei… è bello il tempo che è rimasto dentro, ecco perché ci sei, ecco perché ci sei“.

L’altra perla dell’albo è IN COSA CREDI (LE NOSTRE PICCOLE ARMI), con Manuel Agnelli degli Afterhours. Ultima canzone del disco, chiude idealmente il cerchio iniziato con A NESSUNO e OGNI GIORNO tornando a parlare di come si possa “resistere a tanto insistito dolore”: l’uomo ha a disposizione alcune “piccole armi”, che tanto piccole non sono… “e gli abbracci, i sorrisi e le candele accese (..) e i sogni, le carezze ai figli addormentati, le poche cose di cui disponiamo, le nostre piccole armi“.

In cosa credi? Chiede Pacifico: “si vive, è solo questo, si vive e non c’è altro da fare“.

No, davvero: bellissimo.

E, ovviamente, non venderà un cazzo.

I Cure dal vivo e Bob Marley al cinema

(pubblicato originariamente il 9/7/12)

Oggi zoppico un po’ perché mi sono infortunato al piede destro… giocando a pallavolo al concerto dei Cure. Cioè: sono arrivato e suonavano questi tizi che non erano nemmeno malaccio ma di cui non me ne fregava una sega. E allora mi son detto: devo fare qualcosa finché non salgono sul palco almeno i New Order. Che, se qualcuno m’avesse detto che nel 2012 i New Order avrebbero suonato davanti a più di ventimila persone e Terence Trent D’Arby sarebbe finito a fare serate in un bar di Bergamo… beh, gli avrei riso in faccia.

E invece la vita è piena di sorprese.

Ho scoperto solo oggi che i New Order nascono dalle ceneri dei Joy Division (ah! internet: quanto mi saresti stato utile trent’anni fa!!!): per me erano “solo” quelli che avevano girato “True Faith”, uno dei video musicali più belli ed epocali che mi sia mai capitato di vedere (caso strano: un altro di quei video è “Close to me” dei Cure, visti sullo stesso palco un’ora dopo).

E allora ho scoperto i campi di pallavolo e basket: siccome a pallacanestro qualche tiro lo faccio ancora, ogni tanto, ma a volley sono davvero anni che non ci gioco più (eppoi: il basket è uno sport prettamente maschile, ed io è un mesetto che son tornato single) la scelta è facile. Decisamente troppo facile, perché le parentesi non le uso mai per le frasi superflue… e c’era un gruppo di ragazze davvero troppo carine per considerare seriamente…………………… ma vaffanculo il basket, va!

C’è qualcosa di più stupido che giocare a pallavolo con gli stivali (“ma sono stivaletti estivi!” dice lei)? Beh: non togliersi il braccialetto è stupido ma non così tanto (ed io, ovviamente, me lo sono tolto solo dopo la prima mezz’ora). Giocare a piedi nudi sull’erba sintetica: quello sì! E infatti ho delle vesciche nuove e bellissime, oggi…

Buono il concerto dei New Order, bellissimo quello dei Cure, che si giocano “Lullaby” già come terza canzone, “Friday I’m in Love” nella prima metà del concerto, ma poi si tengono “Close to me”, “Why Can’t I be you?” e “Boys don’t cry” per un finale davvero da brividi.

Un Robert Smith invecchiato ma che non ha perso un grammo del carisma degli anni ’80 (anzi!), che dice di volersi limitare al “grazie” per non dire cazzate in italiano e suona per DUE ORE E QUARANTACINQUE MINUTI spiegando: “Godetevi questo concerto, perché potrebbe essere l’ultima volta. Io me lo sto godendo”.

Niente scenografie: solo tanto fumo e ottime luci (splendide, per esempio, in “Close to me”). A cosa servano le scenografie, quando sul palco c’è uno con la presenza scenica di Robert Smith, è effettivamente un mistero.

Capitolo 2:

“Marley” è il documentario su Bob Marley uscito qualche settimana fa al cinema in quella che doveva essere una sola serata. Peccato, perché ad avere saputo che poi sarebbe rimasto in programmazione così tanto sarei andato al concerto della Famiglia Rossi (ma vabbé: tanto rimedio stasera).

In una sola parola: noioso.

C’ero andato anche per “colpa” di “Living in the material world”, il favoloso documentario che Martin Scorsese ha dedicato a George Harrison… ecco: forse la pietra di paragone è troppo recente e troppo ben fatta, e il ricordo potrebbe ingigantire i difetti di “Marley” ma… per dirla tutta, penso proprio che non sia quello.

Il film è lento, spiega poco (ok, per i rastafari Gesù si è incarnato nuovamente nel Re d’Etiopia Haile Selassie I: sarebbe stato carino perdere quei sessanta secondi in più per spiegarci a cosa si deve questa credenza…), dà poco spazio alla musica privilegiando, tra l’altro, le canzoni meno conosciute e snobbando completamente o quasi le vere “hit” di Marley e non prende mai “ritmo”.

Certo, ci sono alcune facce che non possono che rimanere impresse (il primo cugino di Marley intervistato, nel paese dove è nato Bob, ha una gestualità e un modo di ridere semplicemente strepitosi), e non vengono taciuti i lati “scomodi” del cantante (le libertà che si è preso con le donne, giustificate come “ribellione contro le regole della società occidentale”, sembrano in realtà dovute alla necessità di svuotare i testicoli ogni tanto…). E le risatine che in platea accompagnano ogni accenno all’uso smodato di marijuana a me hanno dato fastidio: mi sembra sempre di trovarmi in presenza di quelli che “hey! noi sì che siamo anticonformisti”, e poi magari lavorano in banca e zitti e mosca (ma vabbé: questo è un problema mio).

Farfalla al contrario

E gli amici dicevano: “non vedi?

e io no, non vedevo.

Come ho potuto non capire?

Come ho potuto guardare i suoi occhi e scovarci del bello,

come se la bellezza fosse più di una patina esteriore?

Come ho potuto aggrapparmi alle sue braccia?

Com’è che mi sono lasciato ingannare

da un sorriso ogni tanto,

da baci buttati come elemosine,

da un pezzo di ghiaccio che non si lasciava abbracciare?

Non potrò mai scordare

la peggio umanità che mi ha presentata,

le brutte persone che l’hanno consigliata,

accompagnata, denudata…

Non era così, ma lo è sempre stata.

Farfalla al contrario,

crisalide di puro egoismo e poco talento,

con muscoli forti come pongo e ali di gelatina,

cicala buona per una sola estate:

baco nella mela,

cancro nel cuore, malinconia nei piedi…

Ma ora la vedo.

E la compatisco,

piccolo, piccolo essere umano…

com’è che non esistono specchi,

nel tuo mondo?

 

p.s.: alcune parti sono completamente inventate e -giuro!- non sono dedicate a nessuno in particolare. No, nemmeno a Flavia Vento… né tantomeno a De Chirico

(pubblicato originariamente il 06/07/2012)

Del fare ma del non subirne le conseguenze

(pubblicato originariamente il 5/7/2012)

 

… che poi, secondo me, il metodo migliore per svegliarsi la mattina è fare del sano sesso.

Sano nel senso che ti migliora la giornata, predisponendoti (un applauso per l’uso della parola “predisponendoti”, grazie!) a godertela nel migliore dei modi.

E, quando uno dorme e si sveglia “subendo” del sesso orale… beh: siamo vicini alla definizione di “Paradiso” (più a quella che gli danno i musulmani, in realtà, che a quella cattolica: bella sfiga, la “grande luce bianca”…. sembra lo spot di uno sbiancante per lavatrice…… ma non perdiamoci nella teologia, và: che c’è gente che la studia per anni e non riesce ancora a parlare di transustanziazione).

Ecco: spostiamo la macchina dei ricordi indietro di un numero imprecisato di anni………

Che cos’è quella piacevole sensazione che…. c’è qualcuno sotto le mie coperte: è la mia ragazza e… ah, cacchio: oggi devo aver vinto al lotto!

E invece no: praticamente subito sento qualcosa di sottilissimo che stringe appena sotto la cappella… vedo le coperte saltare in aria e lei che mi fissa con uno sguardo carico d’odio, tenendo in alto la mano destra con pollice e indice che tengono qualcosa di lungo e… che colore è? nero? sì, pare nero.

“Di chi è questo?”

Un capello.

Cosa ci fa un capello attorcigliato sul mio pene?

“Ehm…. tuo?”

“Non diciamo cazzate!”

Come ci è arrivato?

…………………… lo so benissimo, come ci è arrivato: la sera prima l’avevo tradita.

Ok: è il momento di giustificarmi perché lo so, quello che state pensando (una roba tipo “ma che pezzo di merda che sei”, probabilmente. Vi tolgo dall’imbarazzo: avete ragione).

Avete presente quando una relazione si arena, e la passione è finita ma nessuno dei due vuole accettarlo? Ecco, io e lei eravamo già oltre… ci volevamo ancora bene, ma i tempi in cui provavamo quell’attrazione fisica che rende così belli gli inizi delle storie d’amore era già andata a farsi benedire da un pezzo e poi… come dire? Lei non me la dava più.

E allora cosa fa, l’uomo vero? Ne parla? Fa di tutto per riconquistarla?

Forse all’inizio.

Dopo un po’ (dopo i primi risultati, sempre negativi), semplicemente, inizia a tradire.

E allora: cosa mi significava quel modo di svegliarmi?

Ecco… appunto: boh!

Era proprio l’ultima cosa che mi sarei aspettato quando, la sera prima, me ne sono tornato a letto senza farmi la doccia (che poi è una roba strana, visto che difficilmente rinuncio alla doccia serale).

E, quindi: “di chi è questo?

Immagino la mia faccia da ebete, e il cervello che valuta in pochi microsecondi tutte le giustificazioni, valide oppure no (ma esistono giustificazioni valide a un capello ritrovato in quel posto lì?), incrocia i pro e i contro e poi, dopo pochissimi secondi di silenzio, spara l’ipotesi più plausibile che gli è venuta in mente:

“sarà della signora delle pulizie: probabilmente le è caduto mentre rifaceva il letto… poi, siccome io di notte mi muovo parecchio, chissà come è finito lì” (figuratevi le altre, di ipotesi…….)

La guardo negli occhi e: no, decisamente non l’ho convinta (strano, eh?).

vignetta “rubata” a Daw, che tanto mica s’offende, lui!

 

Ecco: queste sono situazioni a cui non puoi essere preparato MAI, nella vita.

Ho imparato che ci sono solo due modi per affrontarle: raccontare tutto oppure negare, negare sempre e, di fronte all’evidenza, negare più forte (questo post mi si ritorcerà decisamente contro, in futuro: lo so).

Le percentuali di attuazione sono: 3% prima ipotesi, 92% ipotesi 2, 5% varie ed eventuali.

Ovvio che, alla fine, quei pochi rapporti che non ne escono distrutti sono una minima parte di quelli nei quali l’uomo (non che le donne non tradiscano, eh? anzi…) ammette la cazzata. Tutti gli altri, prima o poi (magari più poi che prima), sono destinati a fallire miseramente.

E quindi, con la vigliaccheria dell’uomo appena svegliato (che è solo un cincinino più grande di quella dell’uomo già sveglio), nego, aggrappandomi ai capelli della signora delle pulizie (che, ovviamente, erano di tutt’altro colore e lunghezza… ma non stiamo a sottilizzare, và).

Dimenticavo… “negare, negare sempre e, di fronte all’evidenza, negare più forte”.

Bisogna aggiungere: “e, se non ti crede, incazzati”

Già: “… ma allora, tutte quelle balle sulla fiducia reciproca valgono soltanto quando ne hai bisogno tu? Non ti ho tradita. Non lo farei mai (già… come se ai tempi non fosse diventata un’abitudine……… n.d.M.). Lo sai che ti amo”

Ecco: il “lo sai che ti amo”, nonostante quello che ovviamente pensate, era vero.

L’uomo è un essere meschino, e io non sono da meno. Sono stato egoista ma, in definitiva, chi ha pagato il prezzo più alto sono stato io. Perché lei non ci ha rimesso nulla, perdendomi (perdendo la persona che ero. Ché, nel frattempo, spero di essere migliorato).

E finisce che si fa la pace, che l’amore è bello quando è litigarello, che è tutto risolto per un po’ e che… beh, che sono una merda.

Del perché le radio italiane fanno cagare…

( pubblicato originariamente il 4/7/2012)

Facciamo un esempio, và (“mi ha fatto l’esempio, e mia moglie è rimasta incinta“: Cochi e Renato, da applaudire sempre):

Davide Bernasconi fonda i DE SFROOS nel 1990, nel 1995 pubblica il primo album con almeno tre delle canzoni più popolari del suo repertorio, nel 1999 vince il Premio Tenco come “Miglior Autore Emergente” con il suo primo album solista, nel 2001 vende 50.000 (cinquantamila) copie di “… E SEMM PARTII” e vabbè: fin qui è la solita storia (iniziata ventidue anni fa) del cantautore mica tanto di nicchia ma che le radio non cagano nemmeno di striscio…

Poi però arriva Sanremo e Yanez, che piace, vende e gira parecchio per le radio (e sì: ha un ottimo risultato anche in gara). Canzone seguita da un album molto bello (come al solito, del resto: El carneval de Schiignan è nella colonna sonora del film “Benvenuti al Nord”, il più visto del 2011) ma che le radio ignorano completamente.

E’ questa, la cosa strana: trovi un cantante che piace (2008, concerto al Forum di Assago: più di dodicimila biglietti venduti: figuriamoci cosa potrebbe fare dopo l’esposizione mediatica di Sanremo), con un repertorio immenso, e nessuna (NESSUNA) radio prova nemmeno a trasmettere una canzone che non sia Yanez… Non pretendo Radio Deejay (perché no, poi? sono stati i primi a “sdoganare” Giorgio Gaber, nel 2001…), ma è pazzesco il comportamento di Radio Italia (troppo impegnata a promuovere i Modà? che, per chi non lo sapesse, sono prodotti da una società composta da Radio Italia, RTL 102,5 e Radio Dimensione Suono) e delle altre stazioni più attente alla musica italiana… Purtroppo il vero problema non è Davide Van De Sfroos, ma la situazione attuale della programmazione radiofonica nel nostro paese: praticamente identica tra una stazione e l’altra. Sembra quasi che le case discografiche decidano di mese in mese quali canzoni promuovere, magari mandando una lista alle radio con scritto: “canzone X: 10 volte al giorno, canzone Y, 8 volte, canzone Z, 10”.

Mi rendo conto che il dialetto comasco (ma ci sono anche canzoni in italiano, eh?) non è conosciutissimo e, anzi, è incomprensibile in parecchie parti d’Italia ma, a questo punto: perché Yanez sì? Poi, sarò scemo io: se una canzone va bene, perché non provare a mandarne in onda un’altra? (ok, sono un cospirazionista di merda……) Tra l’altro, Davide è molto stimato dai suoi colleghi: andate a vedervi su youtube i duetti con Frankie Hi-NRG, Max Pezzali, Francesco Baccini… o pensate a Irene Fornaciari, che si è spacciata per anni come una “big” ed è riuscita a farsi ascoltare solo con una canzone scritta da DVDS.

Sono finiti i tempi in cui i deejay decidevano la scaletta dei loro programmi: oggi questa viene programmata da un ufficio apposito, che immagino più vicino a quello contabile che a quello artistico. Ma questo posso anche capirlo… quello che non capisco proprio è la MANCANZA DI CURIOSITA’, la ZERO voglia di andare a cercare l’artista sconosciuto (o anche molto conosciuto, ma non programmato), di vedersi qualche concerto fuori dai soliti giri, di DIFFERENZIARE la propria stazione dalle altre: magari dare una chance a gente come i NOBRAINO, la BANDABARDO’, la FAMIGLIA ROSSI, i MARTA SUI TUBI eccetera, eccetera, eccetera… (ma anche i “dimenticati” come Massimo Bubola, Enzo Jannacci (a parte Vengo anch’io, no tu no), Alberto Fortis… e sto citando solo gli italiani!).

Eppure sarebbe molto positivo, no? “Io ascolto Radio Pimpiripettanusa perché mi ha fatto scoprire i “John Holmes e gli Amicici”!”.

In America la maggior parte delle radio ha una propria identità musicale precisa: country, rap, soul… da noi dobbiamo accontentarci di Radio Italia (che, comunque, si differenzia davvero di poco dalle altre “big”), Radio Capital (con i grandi classici, comunque senza dubbio la migliore radio italiana), Virgin Radio (orientata verso il rock) e… beh, conosco almeno un paio di stazioni che “passano” solo il liscio. Tutto il resto è uguale a se stesso: le radio si differenziano più che altro per il nome dei deejay. (p.s.: mi scuso se ho dimenticato qualche esempio positivo: ma alla radio ho sempre preferito il mio lettore cd e me la “sorbisco” solo quando sono costretto)

Una radio dovrebbe “attirare” un certo tipo di pubblico, che dovrebbe riconoscersi nei gusti musicali dei programmatori: non dico che alla base ci deve per forza essere una scelta filosofica, ma almeno stilistica, quello sì. Ed è questo che mi lascia l’amaro in bocca: in realtà, probabilmente, la sensazione degli ascoltatori è quella…

E quindi la radio è il PERFETTO RITRATTO DELL’ITALIA DI OGGI, dove SIAMO TUTTI MOLTO PIU’ OMOLOGATI DI QUANTO CI PIACCIA PENSARE.

(pregasi eventuali lettori gaberiani di saltare la prossima frase, perché sto per usare il “vocabolo maledetto”)

Mi sento quindi in dovere di fare un po’ di “divulgazione” e… eccolo qui, in tutto il suo splendore, uno dei testi più belli scritti da Davide:

LA BALLATA DEL GENESIO (traduzione in italiano)

Mi chiamo Genesio e ho fatto un po’ di tutto

poeta, spazzino, astonauta e muratore

ho girato per il mondo fino all’ultimo chilometro

avanti e indietro come il mercurio nel termometro

 

Sono andato sulla luna solo con gli occhi

ho sparato contro il tempo e ho disfatto gli orologi

ho pregato mille volte senza andare giù in ginocchio

ho girato con lo smoking e a piedi nudi pieno di pidocchi

 

ho dovuto imparare che la ruota gira

che ogni tanto si rovescia il bicchiere della birra

tra fortuna e sfortuna c’è una corda che tira

quando il diavolo picchia prende la mira…

 

Sono stato l’incudine e qualche volta il martello

ho dato retta al cuore e qualche volta all’uccello

e nel buco della chitarra ho nascosto questa vita

sia le pagine in rosso che quelle scritte e matita…

 

Il coltello in una mano e nell’altra un mazzo di fiori 

perché l’amore e la morte sono sempre lì nascosti

ogni giorno andavo via con un bacio o una pedata

con il destino dietro alle spalle per mollarmi una bastonata

 

E di ogni mia donna mi ricordo il sorriso

anche se con nessuna sono arrivato ai confetti

tante donne che in tasca avevano il paradiso

insieme al rossetto hanno lasciato le cicatrici…

 

Scappavo e inseguivo senza mai prendere fiato

coriandolo nel vento… e fiore senza prato

una trottola matta sempre in giro senza sosta

un boomerang ubriaco senza mai una risposta…

 

Zingari e signori sempre sul mio binario

sotto un’alba e un tramonto più rossi del Campari

ma i ricordi sono macchie e mi aspetta il domani

mi aspetta incazzato con lì le bombe a mano

 

Sigarette senza nome e bicchieri senza storia

hanno fatto i ghirigori nella mia strana memoria

tatuaggi invisibili che mi mordono di notte

e una vita tirata come un nastro di scotch…

 

La mia chiacchierata lascia il tempo che trova

guardo il cielo di novembre con la sua luna nuova

sono il Genesio e questo è tutto…

con qualsiasi vestito, sotto… sono nudo…

“La mia casa è vuota senza (lei) me”

La cucciola è stata da me per venti giorni: Arianna doveva studiare per un esame e sua madre era via, quindi mi sono prestato volentieri a ospitare mia figlia per quasi tutto il mese di agosto.
Non che l’abbia vista moltissimo: per due settimane è andata al corso di cavallo (dalle 9,00 alle 18,00): io dormo la mattina e lavoro la sera… eppoi martedì scorso sono stato via tutto il giorno per andare a trovare un amico distante.
L’esame era ieri e stamattina Arianna è venuta a prenderla.
Abbiamo pranzato insieme e poi se ne sono andate.
Poche ore dopo sono tornato a casa e ho visto le scarpe di Frozen che le ho comprato a Disneyland in fondo alle scale e mi sono accorto, forse davvero per la prima volta, di quanto fosse VUOTA la casa senza quel riso di bimba.
Un vuoto enorme, opprimente, triste… tant’è che dovevo fare un sacco di cose e invece me ne sono andato subito: ché lavorare almeno mi dà qualcosa da fare e altro a cui pensare.

selfie-mossi
“alla Guè Pequeno”